Una volta intrapreso il cammino, non c'è modo di tornare indietro; non c'è alternativa tra la quiete del piano e le esplosioni post rock dell'epilogo. Non resta dunque che avanzare, oltre la prigione di carne in cui sono rinchiuse le corde vocali, tentando un improbabile assalto al cielo. E' quello che fanno gli islandesi Sigur Ros in Hvarf - Heim, doppio album diviso tra inediti (5, escluso "Hafsól") e versioni acustiche di vecchi brani (6), in uscita il 5 Novembre per XL. E' un incedere lento, il loro, in cui il dolore viene nascosto dietro simboli e parole incomprensibili. Una lenta processione a cui, lungo la via, si aggiungono alcuni strumenti (chitarra e batteria in "Í Gær"), altri aumentano d'intensità (gli archi di "Von"), altri ancora tacciono per sempre. Infine, però, proprio la liturgia invisibile degli alberi, che dovrebbe tracciare il cammino, segna invece il tempo che è trascorso da quei momenti, con tutto quello che dietro abbiamo lasciato. (7.1)